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Smart working: cos’è e come sta andando il lavoro agile in Italia

Come lo smart working sta cambiando le abitudini e la cultura del lavoro

Chiara Buratti
Smart working
Lo smart working, prima semi sconosciuto e ostracizzato, è oggi un termine ricorrente sulla bocca di tutti. Già, perché a causa del Covid-19 le nostre abitudini legate al mondo del lavoro sono radicalmente cambiate, tanto da spingerci a riflettere sul futuro del lavoro e sulle nuove possibilità che apre lo smart working. Non sappiamo, infatti, quanto durerà questa situazione e quanto il lavoro agile sarà la realtà lavorativa di molti di noi, ma è interessante osservare i primi dati che abbiamo di questo cambiamento e iniziare a ripensare la nostra quotidianità lavorativa, i rapporti all’interno dell’azienda e, magari, a trarre beneficio da questa situazione così complicata.

 


Indice dei contenuti:


 

Cosa ci dice l’Osservatorio Smart Working sul lavoro agile oggi

Prima di capire come potrà essere il nostro futuro, guardiamo al presente e ai mesi del lock-down: molte persone hanno sperimentato un modo di lavorare totalmente inedito, assunto in una situazione di emergenza, con tutte le criticità che questo comporta.

Ha permesso a tantissime aziende di continuare a lavorare a distanza, a volte senza perdere neppure un giorno di lavoro e, anzi, incrementando la produttività in molti casi, ma per tanti dipendenti si è trattata di una grossa sfida: non tutti hanno gli strumenti necessari o gli spazi adeguati a lavorare serenamente, per non parlare di chi ha dovuto lavorare con figli più o meno piccoli in casa.

Insomma, per adesso – e in base all’esperienza fatta – lo smart working è visto sì come un’ottima ancora di salvezza per continuare a lavorare, ma soprattutto anche come problema logistico da affrontare. Grazie alla ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano possiamo farci un’idea più approfondita della situazione odierna:

  • Durante il periodo di lock-down ha lavorato da remoto il 96% del campione analizzato; prima dell’emergenza gli smart worker erano solo il 31%, di cui solo il 13% lavorava da remoto in modo continuativo
     
  • Sono state avvertite molte criticità che hanno interessato lo smart working connesso con il periodo emergenziale: il senso di isolamento (considerato alto dal 35% del campione), di ansia e paura (32%) hanno interessato i lavoratori già abituati allo smart working come i neofiti, sintomo più delle complessità del periodo che di un effettivo difetto dello smart working
     
  • Dal punto di vista pratico, invece, le difficoltà riguardano la conciliazione tra vita privata e professionale (considerate alte dal 27% del campione), la mancanza di un luogo adatto per lavorare (19%) e di dotazioni tecnologiche adeguate (22%), ma anche date dal sentirsi sempre connesso e reperibile (23%): si tratta mediamente di un lavoratore su quattro o uno su cinque a lamentare il problema, certamente non la maggioranza, ma comunque una percentuale molto significativa.

Queste cifre ci confermano ciò che già immaginavamo: le problematiche dello smart working non sono legate alla socialità o al rendimento, anzi, ma alle dotazioni e alla cultura legata al nuovo modo di lavorare.

Lo smart working fatto fino adesso, infatti, somiglia molto più al telelavoro che al lavoro agile: il buon risultato è legato ancora al tempo trascorso davanti allo schermo, negli stessi orari e più o meno con le stesse modalità con cui si svolgeva il lavoro in ufficio, semplicemente “spostando la scrivania in casa”.

Questo primo approccio sgangherato allo smart working, comunque, ha avuto il merito di diffonderlo in maniera capillare e di diventare un’occasione per ripensare il modo di lavorare: quando sarà possibile di nuovo tornare a scegliere come lavorare – da remoto o meno – tanti lavoratori saranno probabilmente contenti di non dover lavorare in presenza.


 

Smart working o lavoro agile: cos’è e cosa dovrebbe essere

Abbiamo parlato di un approccio legato all’emergenza, perché la realtà è che lo smart working in Italia, ora, non è vero lavoro agile: gli orari sono gli stessi, non si lavora per obiettivi e il concetto di “agile” è legato solo al fatto di poter lavorare in tuta.

Il significato di smart working, invece, è quello di una nuova modalità di organizzazione del lavoro, dove il dipendente ha orari flessibili e spazi scelti in maniera autonoma per gestire il suo lavoro con responsabilità, con lo scopo di raggiungere un obiettivo e non più coprire un monte ore.

Certo, questo nuovo modello presuppone grande responsabilizzazione dei dipendenti, ma ancora di più lo sforzo è richiesto ai manager che dovranno fissare gli obiettivi per ciascun membro del team e, soprattutto, verificare l’efficacia del lavoro svolto.

Ecco perché parliamo di cambiamento culturale: saper gestire un gran numero di dipendenti che lavorano da remoto con orari e in spazi flessibili è una vera e propria rivoluzione, in cui il datore di lavoro deve diventare gestore attento e flessibile della forza lavoro e non può più essere lo «sciur padrun» che conteggia quanti caffè bevete e quante pause fate.

Per approfondire questi concetti fondamentali, ti invitiamo a leggere il nostro articolo Come adottare lo smart working in azienda


 

Lo smart working implica anche un ripensamento del sistema urbano

Non ci si pensa abbastanza, ma lo smart working non ha un impatto limitato alle aziende e i loro dipendenti: un cambiamento così radicale e generalizzato coinvolge tutto il sistema in cui è integrato, cioè l’intero tessuto urbano fatto di commercianti e di tutto il settore della ristorazione, ma anche il trasporto pubblico locale e regionale.

Come sta succedendo in tutte le grandi città, meta quotidiana di pendolari, con l’esempio eclatante di Milano, lo smart working sta decretando l’obsolescenza di alcuni servizi: non ci sono più persone che passano la loro pausa pranzo nella miriade di locali sorti nei centri pieni di uffici, né chi fa colazione al bar accanto a stazioni del trasporto pubblico, né chi compra qualcosa al volo in un negozio vicino al posto di lavoro prima di rientrare a casa.

Questa situazione sta causando naturalmente grandi polemiche, ma la soluzione non sta nel fermare il vento con le mani, ma nel favorire il cambiamento e il reinserimento lavorativo di queste persone, sostenendole nel frattempo: la velocità con cui ci si è dovuti adattare allo smart working ha causato questi squilibri, ma non c’è dubbio che ci siano anche tantissimi lati positivi e opportunità che ci aspettano.

Lo spopolamento dei grandi centri urbani, infatti, ha come contraltare il ripopolamento di piccoli borghi e cittadine di provincia, minor pressione sull’ambiente dovuta a tutti gli spostamenti evitati e, in prospettiva, una miglior qualità di vita delle persone, che non sono più costrette a buttare 2-3 ore della loro giornata nello spostamento casa-lavoro.

E questi sono solo alcuni dei più immediati effetti positivi dello smart working, perché a livello macroscopico possiamo scorgere anche l’occasione per riequilibrare stipendi e costo della vita tra nord e sud del Paese, rivitalizzando quelle zone dove il lavoro scarseggia e da cui molti giovani sono partiti per tornare solo nelle vacanze.

Insomma, possiamo decidere di cogliere quest’opportunità – facendo un certo sforzo di adattamento, è vero – o farci travolgere da essa, ma di certo lo smart working è qui per rimanere

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